Riordinando quei cassetti dove si
accumula un minestrone di ricordi e cianfrusaglie, mi è capitata tra
le mani la mia tesina dell'Accademia... un tuffo nel passato! Osservando quelle immagini fatico a
riconoscermi. Quell'altra me che si racconta in quei lavori è
distante molto più dei 27 anni che sono trascorsi.
In quel periodo vivevo a Bologna in un
appartamento per “studenti” insieme ad alcune amiche. Sono stati
anni molto importanti, un'esperienza incredibile di libertà,
scoperta e arricchimento, ma anche di turbamenti, irrequietezza e
caos. Ero affamata di esperienze, curiosa di tutto, all'Accademia
frequentavo quanti più corsi possibile: fotografia, incisione,
argilla, grafica, anatomia, pedagogia, mass-media, storia dell'arte,
costume... Ma me ne stavo alla larga dall'atelier di decorazione,
quello che poi era il mio corso principale.
Mi ero iscritta all'Accademia di Belle
Arti scegliendo come indirizzo “decorazione” perché ero convinta
che lì si sviluppasse l'arte applicata al design, ma in realtà tra
i rami “decorazione” e “pittura” non c'era alcuna distinzione
e io, che NON VOLEVO FARE LA PITTRICE, mi sentivo come il classico
pesce fuor d'acqua!
Ricordo benissimo la prima volta che
entrai nell'atelier. Ero delusa, frustrata e anche molto arrabbiata.
Mi sentivo a disagio in quell'enorme stanza dove ognuno dipingeva nel
proprio angolino, l'aula era sempre affollata, ma la sensazione
era di grande solitudine. Ogni giorno entravo, firmavo la presenza e
uscivo. Nell'attraversare l'aula lanciavo uno sguardo distratto ai
lavori appesi alle pareti e gli alunni che lavoravano sembravano
avere tutti le idee molto chiare, mentre io le idee le avevo ancora
parecchio confuse. Questo mi disorientava e mi metteva di fronte al
fatto che, se non sapevo cosa fare, probabilmente era perché io non
avevo niente da dire.
Ma per fortuna mi sbagliavo.

Dopo alcuni mesi entrai "per caso" nel laboratorio di Scultura, un
seminterrato più simile a un cantiere che a un'aula. Chi scolpiva
con grande fragore enormi blocchi di marmo, chi saldava tra fumo e
scintille, chi creava bellissime sculture di tessuto e colate di resina... Ne rimasi folgorata e in un istante l'aria di
quel luogo spazzò via tutta la polvere dalla mia anima e iniziai quasi "clandestinamente" a frequentare il laboratorio. Mi innamorai di quell'atmosfera e anche di uno scultore e con la scusa di andarlo a trovare, rimanevo ore a pasticciare con ogni sorta di materiali: cemento, pigmenti in
polvere, legno, gesso... Avevo iniziato anche a girovagare per discariche alla ricerca di
vecchie grondaie di rame e ferri arrugginiti, accendevo falò in
giardino per dipingere con il fuoco, usavo acidi per ossidare vari
metalli, assemblavo, saldavo... Non sapevo cosa ne sarebbe venuto
fuori, le idee erano ancora confuse, ma finalmente avevo mosso il primo passo,
quelli erano i miei primi tentativi verso una ricerca artistica, ricerca che non si è mai più arrestata e continua ancora oggi.

Allora non ne ero consapevole, ma
riguardando ora le foto dei miei lavori, percepisco chiaramente che
da quegli squarci aperti come
ferite sanguinanti sulla densa corazza di gesso e colla, la mia anima creativa stava urlando tutta la
sua sofferenza. In quel grido però oltre al patimento per essere
stata a lungo repressa, c'era soprattutto un impeto di rottura, la
voglia di uscire dalla prigionia di schemi e giudizi, lo slancio
verso il nuovo!